Si è da poco chiusa l’edizione di gennaio del Salone Internazionale della Casa di Milano (Macef) e tutti gli addetti lavori si accingono a fare bilanci e tirare le somme. Fiera Milano starà valutando la soddisfazione dei suoi interlocutori: espositori e visitatori in primis e allo stesso tempo gli espositori saranno li a cercare di capire com’è andata in termini di vendite e nuovi contatti e se valga la pena continuare ad esporre in fiera o meno.
Una cosa è chiara: è stata una fiera “diversa” dalle precedenti.
Per dimensioni, visitatori, numeri, esposizioni, eventi, filosofie sottostanti. La novità saltava subito all’occhio già a partire dai video interno che tra gli altri riproducevano Cappellini e Morace che spiegavano il nuovo “mood” della fiera: emozioni, sensorialità, archetipi, nuove tendenze, matericità.
Evidenti gli sforzi di alcune aziende che hanno cercato di interpretare con precise strategie questo sfondo, cercando di cavalcarne gli aspetti strategici e forti.
Un chiaro esempio è la Guzzini che ha realizzato un “place” (chiamarlo stand sarebbe assolutamente riduttivo) orientato al 100% al “party”, all’evento: in un ampia piazza con tanto di vasca idromassaggio funzionante venivano offerti prelibatissimi cocktail mentre ballerini, membri dello staff aziendale e visitatori si dilettavano in balli latino americani.
Per non parlare delle borse shopping rosso smagliante, funzionali (utilissime per trasportare tutto il materiale raccolto) e dal design accattivante offerte dalla Alessi che avevano realmente invaso la fiera: un validissimo esempio di branding on the street.
Un altro caso di cui voglio parlarvi e di cui sono personalmente responsabile è quello della Stancampiano, azienda argentiera di Palermo del 1870 con cui collaboro da circa un anno.
A detta dei visitatori, di designer, fotografi o semplici curiosi ha rappresentato una vera “Mucca Viola”.
Proprio all’ingresso dei padiglioni Dettagli (che accoglievano le aziende selezionate dal designer Giulio Cappellini) era stata allestita “Casa Stancampiano”: non uno stand ma una vera e propria casa con tanto di divani e letto a baldacchino sui quali erano esposti gli argenti più preziosi dell’azienda; non un classico “space” ma un vero e proprio “place” che incarnava un progetto di partnership e di comarketing tra la Stancampiano e la Cyrus Company (Milano), azienda di chic design e arredamento.
E’ chiaro a tutti che negli ultimi anni le abitudini d’acquisto, le occasioni di consumo, i gusti personali locali e i mercati internazionali stiano cambino freneticamente; il settore dell’argenteria e quello dell’arredamento si trovano continuamente di fronte a nuove sfide di gusto, di design e di marketing.
Proprio da queste considerazioni è nata l’importante scommessa di “Casa Stancampiano” in cui confluivano ampi sforza di ricerca stilistica, di marketing e di visual merchandising.
La ricerca stilistica e materica è stata notevole. Gli ambienti esterni della “Casa” (senza alcuna soluzione di continuità con il padiglione) ospitavano il barocco storico dell’azienda (alcuni disegni e lavorazioni hanno oltre 50 anni), pezzi importanti dalle dimensioni eccezionali in un’ottica di vero “lusso storico” ed anche particolarmente rappresentativi dell’azienda .
Quelli interni – delimitati da muri - accoglievano il classico e il design.
Sono state anche presentate 5 nuove collezioni; due di puro design dalle forme molto nette e pulite, due di “lusso contemporaneo” disegnate da Cyrus Company e realizzate da Stancampiano in argento 925 in vermeille - bagno in oro zecchino, finitura che arricchisce ulteriormente gli oggetti e rallenta anche il normale processo d’ossidazione di un materiale “vivo” come l’argento - ed infine, una linea tavola ispirata al gioco e all’ironia che si richiamava al mondo del mare (chiamata appunto “Mediterraneo”) e quindi alla sicilianità dell’azienda.
Il bianco, l’argento e l’oro creavano un’atmosfera veramente magica e coinvolgente tesa innanzitutto ad avere un primo forte impatto sul visitatore e ad indurlo ad entrare. Ancora poi l’arredo e le nuove collezioni di argenti ispirate al lusso più radicale o all’ironia e al gioco erano capaci di far vivere un’esperienza unica ed appagante all’utente instaurando un rapporto che si giocava sull’emozionalità e sulla relazione. Era il risultato di un equilibrato mix tra marketing esperenziale, emozionale e polisensoriale (erano stati pure selezionati dei brani musicali che però non sono stati trasmessi in quanto i padiglioni avevano già un unico sottofondo musicale e si sarebbe corso il rischio quindi di creare sovrapposizione, rumore e quindi disturbo).
All’interno della “Casa”, veniva anche trasmesso un video che riprevendeva tutto il processo produttivo (realizzato al 100% in azienda) che colpiva e affascinava ulteriormente l’ospite mostrandogli l’alta qualità del lavoro e delle maestranze costituendo anche un validissimo argomento per spiegare il prezzo dei prodotti.
In ottica di prezzo, era evidente l’applicazione di un certo “trading up”: gran parte dei pezzi esposti erano over-size, pesanti (il prezzo dell’argenteria dipende molto dal peso), lavoratissimi quindi anche molto costosi.
Il concept era quindi ispirato al recupero della storia e del territorio, al lusso estremo, all’artigianalità ma anche alla favola, all’ironia ed al gioco; un mix veramente eccezionale che ha decretato un vero successo sia in ottica di immagine e comunicazione che in termini commerciali.
L’obiettivo è stato quello di coinvolgere a 360° gradi l’interlocutore per farlo accedere al mondo di riferimento delle due aziende, contestualizzarli per farglieli meglio apprezzare, per trasferirgli parte della comunicazione intangibile.
Penso che questa esperienza possa essere d’esempio anche alle altre realtà storiche italiane: c’è la possibilità di rilanciarsi, reinventarsi e differenziarsi enfatizzando il proprio bagaglio di risorse tangibili e intangibili, storiche e produttive.
Credo che in questi settori non ci sia più la possibilità di competere con la leva prezzo ma ci sia la necessità imprescindibile di coinvolgere tutti i “peripherals”. D’altronde in qualunque offerta aziendale che si configuri in un prodotto o in un servizio oggi possiamo trovare attributi che afferiscono al primo e contemporaneamente al secondo - si parla appunto di "serdotto" – come emozioni, appagamento inconscio, effetti comunicativi verticali o laterali, autostima, egocentrismo, riduzione sensi di colpa, necessità culturali ecc.ecc.