venerdì, settembre 30, 2005

i colori della moda...Biancocomandacolore!!!

Qualche giorno fa, ho parlato di bello, design e colore e come non parlare allora delle ultime sfilate di Milano in cui gli stilisti si sono affaccendati a mostrare le loro ultime collezioni per l’estate 2006.

Non è solito che gli stilisti concordino in modo così chiaro sulle tendenze della moda per i mesi successivi. Il colore principe dei prossimi mesi sarà sicuramente il Bianco declinato in tutte le possibili gradazioni….sia per la donna che per l’uomo.
E così mentre l’inverno che è alle porte ci riserverà colori forti, caldi e variegatissimi (il verde, il rosso, il viola con un ritorno del nero che spesso fa da sfondo) l’estate 2006 sarà all’insegna di un colore predominante….candore, rigore, pulizia, ringiovanimento.
Si tirano i remi in barca circa spacchi e scollature da capogiro….la donna della prossima stagione è ricercata, elegante, country e metropolitana allo stesso tempo. Il tutto con gonne declinate in tutte le misure, scarpe tondeggianti e tacchi da capogiro.
Se la donna torna ad essere molto femminile anche l’uomo fa la sua parte….torna ad essere tale: alcuni aviatori, alcuni cowboy coperti da giacche lunghe, chiare di alta sartoria, camice leggerissime sotto dai colori accesi….bellissime le cravatte strette, un po’ meno i foulard annodati al collo…insopportabili solo i pantaloni alla caviglia. Tanto bianco anche per lui.

A me piace (non per niente sono Mister Armani Bandana), a voi che ne pare?!

domenica, settembre 25, 2005

...veramente belli (un chiaro di esempio di oggetto adatto al wom)

Un pò marketing e un pò bellezza sono i temi di questo post....vi rimando a dei link che ritengo assolutamente eccezionali per capacità comunicativa, pulizia, stile, rigore insomma veri e propri mezzi mediatici.

Un pò wom..non a casa infatti ve ne sto parlando...

http://www.makepovertyhistory.ca/e/video2.html

http://www.mariaclaudiacortes.com/colors/Colors.html

ditemi che ne pensate......

sabato, settembre 24, 2005

marketing del cv: tutto ciò che non ci hanno mai detto sul curriculum vitae...

Ieri una mia cara amica mi ha fatto vedere il cv perché gli dessi un occhio; nelle mie precedenti esperienze di lavoro avrò già visto qualcosa come almeno 1500 cv e vi posso dire che pochi sono quelli veramente “speciali”. Che saltano all’occhio e ciò non tanto perchè non ci siano persone brillanti in giro ma proprio perché spesso non si sanno valorizzare e presentare al meglio attraverso il cv.

Andiamo al cv: sono dell'idea è che ognuno attraverso il proprio cv esprima se stesso e i propri punti di forza; deve dare la possibilità al recruiter di capire in pochi secondi di che persona si sta parlando anche se molto vagamente e della sua storia formativa e professionale;
anche il layout dato al cv dipende tantissimo dal suo destinarlo, dal tipo di azienda cui lo si manda nonché dal tipo di posizione per cui ci si candida; ovviamente permetterei un po’ più di estro a chi lavora nelle posizioni e nelle funzioni “creative”.
E’ un biglietto da visita nonché il lasciapassare del vostro obiettivo iniziale….arrivare ad un colloquio al quale poi ve la giocherete nuovamente.


Non sto qui a dirvi tutte le regolette formali della preparazione….basta che fate una ricerca su google e trovate migliaia di siti con ste dritte (dall’esperienza più recente alla più vecchia, uso dei grassetti e dei corsivi, una pagina di cv per i Junior) ma preferisco dirvi quello che solitamente nessuno osa (attenti, non sto correndo alcun rischio!) raccontare.
Note:
- mi arrivavano oltre 300 cv al giorno via mail; ne riuscivo a guardare circa il 40%; il metodo era quello di scorrere con outlook i vari arrivi e fare un’anteprima della visualizzazione. Impiegavo circa 10 secondi per capire se quel cv superava 3 criteri stringentissimi (voto laurea, anni di studio, inglese, informatica…..non si sfuggiva se non si superavano brillantemente tutti e 4), dopo di che guardavo per altri 20 secondi il cv se mi convinceva e matchiava con le ricerche ce in quel momento erano aperte lo stampavo e me lo studiavo meglio evidenziando le parti interessanti o critiche a quel punto lo mettevo nella cartellina relativa alla posizione aperta per cui pensavo potesse andare bene;
- deduzione: non scoraggiatevi se non venite chiamati dalla vostra società preferita, potrebbe essere che il vostro cv è buono ma che proprio in quel momento non corrisponde ad alcuna ricerca aperta…..da qui…..mandate ogni 15/30 giorni circa il vostro cv alle vostre aziende preferite;

Piccoli trucchi:
- iniziate il nome del file word con "CV" o con la vostra iniziale più prossima alla A: spesso infatti i recruiters mettono i cv interessanti in una cartella separata che li riordina alfabeticamente .......e se iniziaste con Rossi sareste quasi sempre alla fine....

- inviate il cv alla prime ore del mattino (ore 8/9), poco prima della pausa pranzo e la sera….ossia poco prima dei momenti elettivi per la maggior parte dei recruiter (io partivo sempre dall’ultimo cv arrivato e siccome ne leggevo circa il 40% vuol dire che il restante 60% andava sprecato ogni giorno);

- fate copie diverse di cv (che ne so un formato diverso, uno con foto un altro senza ecc.ecc.)
e mandatelo in maniera alternata alla stessa azienda variando il formato (figuratevi che conoscevamo certi cv a memoria o certi nomi a memoria e li cancellavamo ancora prima di leggerli....con ciò l’invito a non iniziare a fare spam e quindi mandare lo stesso cv ogni giorno, come tra l’altro alcuni fanno);

- nel subject scrivete sempre la posizione per cui ti candidi piuttosto che il tuo ruolo se è un’ autocandidatura; un mio trucchetto quando trovavo un cv speciale ma che non era adatto per alcuna posizione che avessi aperta in quel momento era quello di modificare il subject della mail scrivendo "posizione risorsa e/o voto di laurea, data di nascita, tipo di posizione ideale, mio giudizio" e giravo il cv in una cartella di outlook dal titolo “cv molto interessanti” in modo che quando mi si apriva una nuova ricerca facevo innanzitutto search o dei filtri tra questi cv per risparmiare tempo.

Per ora è tutto, man mano che penso ad altri piccoli particolari da aggiungere faccio dei ulteriori post qui sotto...quindi tenetelo d'occhio se siete immersi nel vostro job hunting!!!

mercoledì, settembre 21, 2005

Continuiamo col WOM: come, quando e perchè


Nell’intervento dell’altro giorno discutevo sul fatto che il WOM potrebbe essere interpretato da un lato, come un salto nel passato ma dall’altro anche come un viaggio nel prossimo futuro. Infatti è un po’ dell’uno e un po’ dell’altro; la natura è sicuramente quella del passaparola che da sempre ha circolato nei piccoli borghi, nei mercati e sicuramente nelle piazze che hanno costituito il centro della vita lavorativa, culturale e relazionale nel nostro paese.
Di contro il metodo è sicuramente al passo coi tempi e dovrà ancora essere studiato e modellato in base alle caratteristiche del contesto. Non è un caso che proprio nei prossimi giorni si terrà ad Amburgo una conferenza mondiale in cui i più grandi esperti di marketing e comunicazione del pianeta si confronteranno sulle nuove vie di comunicazione e soprattutto proprio sul WOM.


Il contesto da un punto di vista della comunicazione? Poche considerazioni:
- il mercato è ormai in uno stato di completa saturazione, di overloop informativo e superare la barriera del disturbo per arrivare dritti al proprio interlocutore con i mezzi tradizionali è sempre più complesso per le aziende a meno che non abbiano veramente budget milionari;
- il contesto odierno di acquisto e consumo si è così iper-specializzato, iper-segmentato e polverizzato al punto da essere diventato un insieme di unità; ciò fa si che i canali di comunicazione troppo generalisti difficilmente arrivano con le proprie informazioni alla persona giusta al momento giusto;
- così come molti esperti avvertono già da tempo, la pubblicità tradizionale (con cui per anni si è fatto coincidere la definizione di comunicazione se non addirittura quella di marketing) funziona sempre meno e i vantaggi marginali che l’azienda ne può trarre si vanno sempre più assottigliando;
- in particolare, circa la pubblicità televisiva sono notevoli le sfide (voglio considerarle come tali piuttosto che minacce) che si presenteranno nei prossimi mesi a causa del continuo sviluppo del digitale e di nuove tecnologie che pian piano si vanno diffondendo addirittura capaci di “dribblare” diligentemente la pubblicità;
- il below the line (tutta la comunicazione aziendale che non sia connessa alla pubblicità) acquista sempre più importanza; intenet e tutte le nuove tecnologie costituiscono veicoli sempre più importanti per comunicare con i propri pubblici di riferimento (al @mailing, al keyword advertising si aggiungono nuovi strumenti come blog aziendali, podcasting ecc.);
- di contro neanche l’ICT è una panacea di tutti i mali, anche l’@mailing - email marketing - che avrebbe dovuto realizzare una forma di marketing “one to one” ha mostrato tutta la sua debolezza meritando di essere racchiuso fra gli strumenti di mass marketing anche meno nobili; sono ormai mesi che mostra notevoli segni di debolezza.

Il risultato di tutto ciò?
Voglio assolutamente essere ottimista: E’ una bella sfida nonché anche un profondo scossone al mercato; penso che, se non altro, la competizione aziendale tornerà ad essere ad appannaggio dei più creativi e di coloro che sanno veramente rischiare e questo diventa stimolante per chi deve reindirizzare i budget e fare la “nuova comunicazione”.
Si aprono nuove strade (che ormai diventano obbligate) per le aziende e per i loro uomini di marketing; la possibilità di andare “fuori dal coro” c’è sempre stata ma ora subentra questo elemento di invevitabilità.
Mi viene subito da pensare al progetto diesel in porta Ticinese a Milano nonché gli ultimi progetti di comunicazione realizzati dalla Budweiser: non saranno più casi rari, ne vedremo delle belle….

p.s. La figura che vedete è "The Gossips" by Norman Rockwell.

martedì, settembre 20, 2005

beauty marketing

Ancora sulla bellezza?
beh io penso che si possa parlare per ore del bello. Ho smepre pensato che la bellezza fosse un valore, un qualcosa verso cui tendere e probabilmente per questo sono un'edonista mi piace circondarmi di oggetti belli e di persone belle.

Ma cosa vuol dire? beh credo che ognuno di noi abbia una propria concezione del termine "bellezza" e sopratutto una propria scala di misura. Di contro però sono anche convinto che esista una forma di bellezza che possa essere definita oggettiva che è fortemente radicata alla Natura (e sulla quale gli individui possono far poco) e geneticamente ancorata nell'individuo e quindi tramandata da genitore in figlio non solo in modo assolutamente biologico ma anche attraverso l'educazione e il crescere insieme...si credo che il gusto e i canoni estetici vengano anche in un certo senso tramandati.

Ma andiamo al marketing: penso che il bello sia oggi un valore che possa rientrare fortemente tra le variabili del marketing, volendo riprendere la rigida e originaria classificazione delle 4 P kotleriane penso che la bellezza impatti sul Product, sul Place, sul Promotion e perchè no, anche indirettamente, sul Price.

Secondo il marketing esperienziale perchè si compra un oggetto? perchè attraverso esso l'individuo può vivere sensazioni/esperienze/stimoli sia nella fase d'acquisto che in quella di utilizzo/consumo. Ora ditemi voi se gran parte di questi input non sono fortemente legati all'aspetto estetico e quindi il più delle volte al bello.
Aggiungo il più delle volte perchè anche il suo esatto contrario, il brutto, può essere un forte stimolo e driver di sensazioni/esperienze (basti pensare ai soli film horror piuttosto che a certi capi d'abbigliamento).

Il bello è quindi un obiettivo ma anche uno stato anche un context in cui immergersi.....ecco perchè il design oggi rappresenta un'importante leva aziendale per tutti quei consumi che riguardano gli interni e quindi gli ambienti domestici e tutti gli accessori che in essi si ritrovano...anche e sopratutto a tavola.

E arriviamo subito al nostro paese, l'Italia, penso che debba fare del "bello" un proprio punto di forza, una propria variabile strategica di lungo periodo. Chi meglio di noi e grazie alla nostra storia può sentenziare sul "bello"?
Di contro però dico, abbiamo le basi, e ne abbiamo più di qualunque altro ma non possiamo neanche adagiarci su di esse, ma occorre studio, impegno, ricerca...nuova creatività.....nuova bellezza.....

la Miss è Miss.....non c'è alcun dubbio


Ok ok visto il rimprovero che mi son preso provvedo a pubblicare la foto della più bella del Reame italiano. Mi sembra giusto. Guardate pure che foto che ho trovato: più regina di così!!!

La bellezza nel marketing e ...in Sicilia


E’ tutta questione di bellezza non c’è dubbio. Ma sono sicuro che chi come me ieri ha visto la finale di Miss Italia ha provato anche forti emozioni nel vedere che passo dopo passo si andavano ad infrangere i sogni delle ragazze che se non altro, erano arrivate alla finale.

Forse non era poi così difficile (non credo che quest’anno di bellissime ce ne fossero veramente parecchie) ma sia io che mia madre avevamo pronosticato i primi due podi….avevamo identificato le ragazze ma non sapevamo poi chi avrebbe vinto e chi no.

Per noi siciliani (sapete che sono maledettamente campanilista) è stato un colpaccio non c’è dubbio; la nostra conterrona di Milazzo (ME), Anna Munafò, 19 anni, ha dovuto cedere il primo posto alla piemontese Edelfa Masciotta. Bellissime entrambe, colori scuri e con qualcosa da dire.

Perché parlarne qui?
Penso che il tema della bellezza sia particolarmente importante soprattutto negli ultimi tempi per il marketing in generale e per il nostro paese in particolare.

La bellezza (chiamiamolo pure design o lusso in certi settori) è sicuramente un forte driver/stimolo alla scelta e all’acquisto per diverse “tipologie” di soggetti. Il valore estetico è sicuramente una variabile da tenere quindi in attenta asserzione nello sviluppo di un nuovo prodotto.

La bellezza è importante anche nel marketing delle persone? Provate a farci caso quant’è più facile colloquiare con una persona dai lineamenti armonici, gentili, sistemata e ben presentata rispetto ad una persona sgraziata, poco curata e trasandata anche nel presentarsi; probabilmente la bellezza infatti non è solo e unicamente nel rispetto di rigidi codici estetici o proporzioni universali.

Bellezza anche nei servizi? È un trend questo che si sta sviluppando fortemente negli ultimi anni in virtù del bisogno di benessere solistico che le persone portano con se: pensate al successo che ormai riscuotono solarium, spa, beauty center, palestre e centri benessere sia nelle grandi città che nei piccoli centri che in modo trasversale per qualunque fascia di domanda.

lunedì, settembre 19, 2005

e il passaparola diventa nuovamente strumento principe....SIgnori ecco a voi Il WOM

Si riducono i giganteschi budget aziendali a favore di concessionari pubblicitari; il nuovo must per gli operatori di marketing e della comunicazione sarà far si che i propri clienti/utenti/consumtori parlino spontaneamente e positivamente del prodotto/servizio che è stato loro fornito.
Ebbene si, eravamo abituati alla pubblicità e al merchandising oggi c’è il WOM secondo cui è il consumatore in prima persona a diventare in primo luogo il portatore e diffusore di valori, codici, esperienze, conoscenze insomma un vero e proprio “ambasciatore” della marca. A sentirla così in realtà sembra di aver fatto come i gamberi….un bel salto indietro.

Sembrerà un paradosso o solo un ritorno al passato ma non c’è dubbio che il modo di fare azienda e di comunicarla stia sicuramente riprendendo quello antico, quello dei nostri nonni; il modo di fare “business” sta tornando nel suo luogo originario, per le strade, tra la gente ed è nuovamente ad appannaggio del soggetto che ne deve essere principe: l’individuo.
E’ proprio per questo che oggi si parla del WOM – Word Of Mouth o soltanto, per noi italiani, di passaparola.

Cos’è il WOM?
E allora, l’ho già ripetuto diverse volte, il WOM non è altro che il “passaparola” ( a dirla così ricordo la pubblicità di un detersivo…).
In termini più dotti è una forma di comunicazione a due stadi per cui l’azienda lancia diversi stimoli (particolarmente importanti quelli connaturati nel prodotto/servizio principale che siano veramente straordinari) a soggetti anticipatori e mediatori (opinion leader, trend setter, anticipatori, starnutitori secondo Godin) in modo tale che questi li diffondano in un’ottica di marketing virale ai loro contatti personali e non nei momenti e nelle sedi più opportune.

Quando funziona?
Il Wom assume particolarmente efficacia quando il prodotto/servizio non rientra tra gli acquisti di impulso e comunque riguarda bisogni non ovvii e banali ma che invece, per loro natura, comportano una certa fase di ricerca informazioni, valutazione e comparazione. Tirerei fuori dal mucchio anche quei consumi con un forte coinvolgimento emotivo o comunque i consumi edonistici proprio perché per loro natura sono soddisfatti con acquisti diversi da persona a persona.
Per capirci meglio, un esempio: devo comprare un auto e la mia conoscenza del settore è prossima allo zero, non c’è dubbio che sul mio processo di acquisto le opinioni di mio fratello e dei suoi amici che hanno le mani in pasta nel settore praticamente dalla nascita contino più di qualunque altra pubblicità, blog, forum o redazionale che sia.
In modo diverso invece, se dovessi comprare un gioiello o un quadro per la mia casa difficilmente mi farei influenzare dalle opinioni che ho sentito recentemente o dal consiglio che mi è stato dato da un amico.

venerdì, settembre 16, 2005

Immaginario collettivo della Sicilia (pseudo marketing territoriale)

Ieri per l’ennesima volta la Sicilia…. ops! pardon, la Mafia era protagonista su Canale 5.

Ricordo quando 5 anni fa arrivai a Milano, una ragazza che poi sarebbe diventata una mia carissima amica mi chiese con fare sospetto e circostanziato: “ma voi, a Palermo, la sera dopo cena uscite?”; mi ci volle qualche secondo di riflessione per capire a cosa si riferisse e cosa volesse dire poi mi fu chiaro che volesse capire se la sera era sicuro o se non altro possibile per i giovani e non solo uscire, andare al cinema, in discoteca, a teatro o soltanto semplicemente a far 4 passi per strada.

Assumendo un tono serio e ufficiale le risposi “Si possiamo uscire a meno che non sia giornata di coprifuoco!” poi non seppi reggere la scena e scoppia in una potente risata rassicurandola che Palermo così come la Sicilia tutta non era un campo di battaglia.

Di questi aneddoti considerando che ho vissuto per 5 anni fuori da Palermo ne potrei raccontare tantissimi. Come mai si verifica tutto ciò? Da dove trae spunto l’immaginario collettivo?

Beh penso che la TV ne abbia una grande responsabilità…..Il padrino, la piovra, ultimo, primo….secondo, terzo , quarto, mediano, ecc.ecc. BASTAAAAAAAAA!!! Ma è mai possibile che quando si tratta di Sicilia in televisione arriva per l’80% dei casi il tema della mafia? Anche il commissario Montalbano che ha fatto la fortuna di una parte della Trinacria ne è fortemente imbevuto.

E questo non vale per il solo territorio nazionale ma ben oltre e soprattutto i nostri confini: in Cina ci conoscono come la terra del partito della “Mano Nera”; bell’investimento!!! Soprattutto adesso che la Cina si appresta ad essere la prima potenza economica e comunque un partner necessario per qualunque altro nazione. Togliere loro la convinzione che in Sicilia esistono anche delle aziende serie e “pulite” vi assicuro che non è cosa facile e parlo con senno in virtù delle ultime esperienze che stiamo vivendo con la società di cui mi occupo del marketing (www.xicili.com).

Beh la Sicilia dovrebbe impegnarsi fortemente di turismo….penso che questo debba essere un primo punto da affrontare.
Un invito: basta con sti falsi accenti siciliani malamente artefatti!!!

giovedì, settembre 15, 2005

Codice da Vinci, Angeli e demoni, chiese, miracoli, sette e misteri...il genio "markettaro" di Dan Brown

Come definirei a sua arte e il suo modo di scrivere? Brown crea dei noir, dei thriller che ti incollano per ore alla poltrona famelico nella lettura; traccia un piccolo foro e giro per giro come in un tornio lo allarga creando una voragine, in modo scientifico poi la riempie di elementi che all’occhio del lettore creano notevole confusione anche se da forte il messaggio che ognuno di essi serve per lo spettacolare epilogo; proprio nel momento in cui è massimo il caos invece inizia un processo di ricomposizione col quale sembra di avere chiaro il proseguimento della storia, fin quando, proprio nelle ultime pagine, ribalta il tutto lasciando stupefatto il “visitatore”.


Perché parlarne nel mio blog?
Perché è una lettura che consiglio a tutti di fare e perché secondo me ha molto a che fare con il marketing e quindi con diverse tematiche che vorrei affrontare nel mio spazio.

Tanto per chiarire, penso che veramente questo Dan Brown sia un genio eppure ora che sono alla fine dei suoi ultimi best sellers, “il Codice Da Vinci” e “angeli e demoni” penso pure che notevole sia stato lo sforzo del marketing nel volere tracciare gli argomenti che avrebbe dovuto trattare. Penso che risponda a bisogni molto circostanziati…incertezza sul futuro, nuova relazione con la fede, rilettura della Religione, new age, confini tra morale e non morale, nuove tecnologie e loro possibilità di utilizzo, relazioni esogene e stati endogeni di ogni individuo…

Ribadisco il consiglio: leggetene almeno uno; penso che siano assolutamente validi entrambi e molto probabilmente il primo che leggerete – qualunque esso sia - vi sembrerà più avvincnete e interessante del secondo…

Fatemi sapere…

mercoledì, settembre 14, 2005

...se fossi un politico, oggi, cosa penserei per l'Italia...

Qualche giorno fa un'amica che lavora attivamente in politica mi chiede: "A te cosa premerebbe che un politico inserisse nel proprio programma"?

Beh penso che sia una bella domanda e le ho chiesto qualche giorno per risponderle....pensando pensando ho maturato le idee che espongo più sotto.

Sono diverse le priorità che oggi ha il nostro paese; volendo essere il più schematico possibile:

- rilancio dell’economia, secondo diverse autorità internazionali ormai siamo veramente l’ultimo chiodo del carro delle economie occidentali, da amici che vivono all'estero poi mi giungono voci che sul quadro internazionale non siamo poi considerati così bene come qualcuno ci vuole far credere....
- cura delle minoranze e delle condizioni di vita del nostro paese (che ormai non sono più così alte rispetto alle altre nazioni europee).

Andando per punti, il rilancio è secondo me auspicabile non nel breve termine ma con un serio piano di impegno a medio/lungo termine visto che negli ultimi anni i nostri governi (di sinistra prima e destra poi) non hanno fatto altro, secondo me, che sperperare le risorse di lungo periodo nel nostro paese; mi riferisco alla formazione e alla ricerca innanzitutto.
Non sono assolutamente d’accordo di chi parla di uscita dalla recessione! Penso che siamo arrivati ad uno stato strutturale della nostra economia visto che ormai abbiamo esaurito lo strascico legato al dopoguerra e al miracolo economico e non abbiamo costruito nulla per mantenerci al passo con le altre economie europee mentre queste - un esempio su tutte, la Spagna- si davano da fare.

Parto dalla scuola: smettiamola con sta scusa che ci stiamo uniformando agli altri sistemi scolastici (filoamericani); con le ultime modifiche e con l’ultima riforma abbiamo fatto un sistema scolastico dai risultati pessimi; sono d’accordo che ormai i ragazzi devono parlare assolutamente inglese e sapere usare il computer ma ciò non vuol dire che tutto il resto deve essere lasciato al caso. Il sistema dei crediti, della eliminazione delle rimandature a mio parere sta sfornando un esercito di ragazzi poco preparati, svogliati…..non certo la migliore base con cui pensare ad un rilancio del paese.
Proposte: un giro di vite al sistema scolastico, più ore a scuola (6 ore 6 giorni la settimana) in modo da aggiungere i nuovi corsi e non sostituire le vecchie lezioni, iniziare a pensare allo studio del cinese nelle nostre scuole visto che tra meno di 10 anni sarà probabilmente la lingua dei "potenti del mondo".

Per quanto riguarda la formazione: non credo che i problemi si arginino con i corsi della FSE che il più delle volte (ne sono testimone in prima persona) si risolvono in ben poca cosa in barba alle nostre autorità nazionali ed internazionali. Temo si siano buttati soldi a pioggia andando ad arricchire i vari organizzatori di corsi nonché le varie agenzie di lavoro interinale che si sono trasformate in enti formatori andando ad ottenere un risultato prossimo allo zero.
Proposta: far saltare il giro di soldi esistente che più che dare lavoro e creare risorse è una sorta di finanziamento e assistenzialismo all’inefficienza. Perché non si sono incanalati questi soldi nel nostro sistema scolastico formativo già esistente? Non sono un esperto di leggi e leggine (malgrado i 5 diritti sostenuti all’uni) ma non vedo perché non si possano erogare corsi di formazione ai giovani e ai meno giovani attraverso almeno le strutture scolastiche/universitarie (e molti anche attraverso i professori). Penso che si sarebbero ottenute importanti sinergie con la funzione primaria del sistema scolastico avvicinando anche la scuola/università al mondo del lavoro in modo concreto.

Ricerca. La mia impressione è che l’Italia sia ormai il fanalino di coda, eccezion fatta nel campo medico, per quanto riguarda la ricerca in generale (tecnologica, economica, artistica, culturale) questo perché c’è stato uno scollamento del mondo delle imprese da quello delle università in controtendenza con le altre economia che hanno capito che le università sono degli ottimi bacini di cervelli e manodopera a basso costo. Il sistema Italia nel mondo, non ci vuole un professore di economia per dirlo, vanta pochi ma forti plus: storia, tradizione, qualità e stile. Sui primi due non possiamo lavorare ma non dobbiamo neanche pensare che apportino vantaggio competitivo in eterno; la ricerca impatta invece sulla terza e sul quarto; anche nel design e nello stile altri paesi ci stanno pian piano raggiungendo.
Proposta: dato per assodato che la scuola abbia già abbondantemente formato il soggetto e l’università debba specializzarlo, incentivare fortemente il rapporto università/mondo del lavoro: stage, tirocini formativi, ricerca aziendale dentro le università ecc.ecc.

Altre risorse di base per lo sviluppo, argomento "caldo" nelle ultime settimane...l'energia. Fonti di energia alternativa: eolica, idrica, fino a ripensare al nucleare. E’ mai possibile che dobbiamo dipendere totalmente da altri paesi? Dobbiamo ancorare la nostra economia e il nostro sistema produttivo e di offerta ai loro calcoli? Credo che in un paese che voglia guardare con più serenità ad uno sviluppo sereno anche se lento, questo non sia possibile.
Non parlo del sistema dei trasporti perché penso che ci sia da scrivere un libro.

Andiamo al punto due che esaurisco brevemente: le minoranze e le condizioni di vita. La politica che vorrei dovrebbe tendere a recuperare determinati valori che appartenevano al nostro DNA nazionale ma che sono via via persi: il rispetto e la considerazione per il vicino. Mi sembra che l’Italia abbia preso la parte più brutta da altre economie moderne diventando sempre più un popolo di individualisti. Si dovrebbe trattare più di una rivoluzione culturale (con cui è iniziato effettivamente ogni sviluppo e ogni rilancio che la storia ci presenta) ma non volendo fare demagogia, che c’entra la politica?
Esempio: l’Italia sta diventando anche un paese di anziani; se non c’è uno slancio della comunità di sopperire a determinate loro esigenze, i costi ricadranno tutti sul sistema pubblico….impossibile da sostenere!
Altro esempio: con lo stato di precarietà, impoverimento e di inurbazione di altre minoranze etniche aumentano in modo diffuso su tutto il territorio nazionale a prescindere se in città o provincia i furti ed altri delitti. Non è pensabile che il governo possa da solo arginare la domanda di sicurezza e protezione da parte degli elettori.
Non ho proposte molto specifiche e circostanziate in tal senso ma penso che si dovrebbe lavorare sul volontariato, su proposte serie di LSU e servizio civile.

Chiudo qui questo mio intervento simil politico; voi che ne pensate?!? :-)

domenica, settembre 11, 2005

XXI secolo: l'homo olisticus

Ieri leggevo l'intervento di una ragazza su un network di "markettari" a cui partecipo circa le condizioni e le caratteristiche dell'uomo del XXI secolo.

Mi trovo molto d'accordo con il suo intervento che in pratica affronta l'evoluzione dell'individuo negli ultimi anni secondo il principio di evoluzione darwiniano. Per farla breve, arriva alla definizione di homo olisticus di cui però non traccia, volutamente, le caratteristiche. Innanzitutto, sposo perfettamente la causa del “homo olisticus” con cui credo si possa superare l’attuale conflitto tra postmodernismo e neomodernismo.

Quindi mi chiedo, ma è proprio impossibile cercare se non altro di contestualizzare questo "strano e sfuggente personaggio"?!?!?!?

Nel normale fluire delle occasioni, dei tempi e delle culture, penso che oggi l’individuo si trovi immerso in un contesto dove le diverse esperienze sono possibili o almeno molto probabili e dove al criterio di scelta e di separazione vada preferito quello della compresenza e della relazione.
Ritengo quindi, che il postmodernismo sia stato e sia tutt’oggi una “condizione” in cui ogni individuo si sia ritrovato naturalmente quasi senza accorgersene: un contesto senza ordine nello spazio e nel tempo in cui è paradossale poter tracciare confini e differenze tra le diffuse e precise puntualità e comportamenti.
Cade qualunque distanza e ogni segmentazione tra l’individuo-lavoratore, l’individuo-consumatore, l’individuo-genitore, i diversi atteggiamenti e le diverse esperienze si confondono in un unico insieme che è quello esistenziale. Lo stato di bambino, quello di genitore e quello di adulto (e mi riaggancio al modello transazionale di Berne) tendono a confondersi in un “unicum” irripetibile di soggetto in soggetto in cui è difficile anche secondo un procedimento di sezionamento progressivo mettere ordine. Lo studioso (anch’egli sempre più individuo e sempre meno “scienziato”) è costretto a dover considerare e analizzare il mondo in un’ottica sistematica e l’individuo in tutte le sue mille sfumature (mi ricorda il concetto di “nuances” verleniane) enfatizzando, quindi, l’unicità, la diversità, la specificità e la poliedricità di ogni elemento.

sabato, settembre 10, 2005

pensieri sparsi sul "Successo"

Discutevo con un'amica che ad un certo punto sbotta "...ma in fondo, poi, cos'è il successo?"
e aggiunge "Veramente mitico per me è chi resta sempre e IN OGNI CAMPO coerente con se stesso. Veramente mitico è chi ha il coraggio di essere se stesso anche quando non conviene"

Penso che al di là della comune visione che tutti abbiamo di successo(vedi Onassis piuttosto che Bill Clinton o Bill Gates) ci siano delle persone che hanno raggiunto una formula di successo più piena (vedi Walt Disney, Richard Branson di Virgin, Madre Teresa di Calcutta, Papa Karol Wojtyla) piuttosto che persone di cui sconosciamo l'esistenza ma che hanno vissuto e magari stanno vivendo nella realizzazione del proprio sogno, della propria visione.

Ecco, penso che ci siano due forme di successo che forse probabilmente si alimentano vicendevolmente:
- la prima, quella più intima e interiore che si manifesta davanti lo specchio la mattina e la sera;
- la seconda, quella più diretta e "concreta" che si materializza a scuola, sul posto di lavoro, nei locali alla moda, all'interno delle comitive e delle compagnie e comunque del mondo che ci sta intorno e in cui siamo immersi.

In parole più dotte.....credo fortemente che ognuno di noi possa essere identificato come un individuo immerso in un contesto di socialità; questi due aspetti compresenti comportano una dimensione di vita intrapsichica e una interpsichica: l'equilibrio va raggiunto su entrambi i livelli perchè ci possa incamminare su un "percorso di successo".

Alla base di tutto penso che a causa della complessità del contesto attuale ci sia una difficoltà in più che consiste nella definizione della direzione verso cui tendere; credo che la vera domanda che oggi ognuno di noi si ponga è "cosa voglio?" "qual'è il mio sogno?"

venerdì, settembre 09, 2005

Marketing: tempo di Postmodernità o di nuova modernità?

In un contesto sempre più vario e complesso come quello odierno vari e numerosi interrogativi si pongono a coloro che lavorano e studiano per le aziende; ma è tempo di fissare nuovi paradigmi univoci e chiari o di aprire ulteriori spazi di riflessione anche se bui e non delimitati?


Neo, Macro, Micro, Tribal, Etnico, Geo sono solo degli affissi che negli ultimi anni sono stati utilizzati per definire un nuovo filone o comunque un diverso taglio di studi del marketing. Eppure credo che oggi troppo facilmente si parli di marketing facendo risalire ad esso di tutto e di più senza però andare ad approfondire alcun concetto in modo specifico e penso che questo sia direttamente legato a questa “tendenza” di definirlo, segmentarlo, miniaturizzarlo andando a perdere un’ottica d’insieme o comunque un orizzonte trasversale completo. E’ sicuramente la via più facile ma come spesso accade probabilmente non è quella più produttiva, ricca e foriera di buoni risultati.
L’invito che faccio in “puro spirito postmoderno” è di non considerare come eccessivamente nette e definite le classificazioni che vengono fatte da un autore piuttosto che da un altro. Oggi tutto può essere considerato marketing e al tempo stesso nulla è più soltanto marketing.
Penso che il più grosso errore sia proprio quello di definirne i confini e di fissarne paletti andando ad analizzare l’aspetto puntuale perdendo così un’ottica globale. Dicendo questo mi ricollego al terreno in cui gli studi di marketing più recenti si sono poggiati e che anch’io ho particolarmente approfondito: il postmodernismo.
Se il modernismo è (o dovrebbe essere) chiaro a tutti, lo stesso non può dirsi per il postmodernismo.
Cos’è il postmodernismo? Possiamo vederlo come una corrente filosofica, un filone culturale che a partire soprattutto dall’architettura ha raggiunti altri campi di scienza (Lyotard) o, di contro, lo si può vedere come uno “stato”, un “setting” in cui si ritrova ogni soggetto (ognuno di noi nel “QUI ED ORA”), individualmente ma anche come membro di gruppo.
All’estero ancora più che in Italia, è stato fatto un grande sforzo per la revisione e la rivisitazione di quelli che per anni erano stati i rigidi postulati di marketing proprio in virtù di nuovi valori e nuovi ideali che son quelli postmoderni. In realtà c’è chi già, oggi, propone un superamento del postmodernismo o lo relega ad una moda passeggera che nessun altro effetto ha avuto se non quello di togliere certezze e di smontare costrutti ritenuti quasi dogmi inattaccabili. Credo sia un passo affrettato o comunque un giudizio troppo radicale; ritengo sia precoce questa ulteriore “ventata di aria nuova” o forse, da altri punti di vista, questo ritorno al passato senza che ancora non si siano approfondite le tematiche postmoderne nel nostro campo di studi e non sia potuto trarre tutto il reale beneficio derivante dalle potenzialità postmoderne.
Non sono d’accordo con chi ritiene che il postmodernismo debba considerarsi superato, anzi penso proprio che a causa dell’incertezza economica, geopolitica e sociale che è davanti ai nostri occhi, oggi versiamo proprio in un contesto che è di forte stampo postmoderno. Il contesto in cui viviamo e quindi quello in cui le aziende operano è sempre più dinamico, complesso, veloce, variabile, multiforme, caleidoscopico e tanto altro ancora. Credo quindi che il marketing debba continuare a studiare in quella direzione; certo, non tutti i valori postmoderni possono ancora essere considerati utili e attuali ma facendo ricorso al principale valore postmoderno - il rifiuto di ogni Verità che debba ritenersi unica, stabile e assoluta in quanto precostituita - i nostri studi quasi certamente potranno andare avanti.

Ultimamente si parla molto di Humanistic Managemernt in virtù dell’uscita del suo “Manifesto”, la pubblicità istituzionale aziendale (un esempio per tutti, quella recentissima degli enti creditizi) altro non fa che cercare di “personificare” l’azienda ed anche quella commerciale sfrutta l’essenza umana nella sua quotidianità per l’avvicinamento dell’azienda al proprio mercato di riferimento. Ecco, penso che questo debba essere ancora il punto su cui andare a battere: il fatto che il mondo del lavoro e dell’impresa è inserito nel contesto sociale più ampio che altro non è se non un contesto di socialità fatto di individui (che cercano una propria realizzazione) per gli individui.
L’individuo e il recupero dell’individualità, quindi, devono costituire le “ipotesi forti” (piuttosto che Paradigmi, di stampo nettamente “moderno”) sulle quali valutare nuove teorie, nuovi approcci o strategie o su cui soltanto rivedere e rivisitare quelle passate.
Il moderno e il postmoderno sono quindi quanto mai comprensenti perché nel superamento del postmoderno altro non si è fatto se non recuperare e rivivere (con un’esperienza postmoderna alle spalle) quelli che erano i vecchi ideali, obiettivi e temi moderni. Anche qui, un corso e un ricorso storico, un fluire all’interno di una spirale di tensioni vecchie e nuove che si ripresentano puntualmente nella storia dell’umanità. Sono d’accordo che l’obiettivo è sempre davanti a noi ma si prendano i giusti tempi e si maturino le giuste riflessioni….movimenti a destra e a sinistra piuttosto che solo proiettati in avanti come se fossimo su dei binari già saldamente posizionati.


Avete fatto caso che ultimamente non passa giorno che sui giornali o in tv non si avvertano ulteriori e crescenti indici di complessità e confusione? Mi riferisco alla continuazione delle guerre, agli ultimi recenti eventi terroristici, agli equilibri geo-economici, ai disperati approdi in Sicilia o in Puglia da parte di clandestini ma anche semplicemente alle cronache delle nostre città.
Una domanda: in un clima tale -a voi definirlo- come possiamo e come possono le nostre aziende pensare di leggere e “interpretare”il contesto secondo chiavi e paradigmi che hanno funzionato -bene o male non sta a me dirlo- in contingenze ben diverse?
Credo quindi che, riprendendo quanto sospeso nello scorso intervento e per focalizzarmi subito sugli studi socio-economici, la riflessione sull’individuo come elemento primo del mercato vada ripresa proprio dalle origini: il chi? cosa? come e perché?
Nello specifico, quindi, il marketing, le scienze antropologiche e sociali ancora devono continuare il loro percorso in un’ottica di multidisciplinarietà o, ancora meglio, di interdisciplinarietà fondandosi sul recupero dell’individuo o sulla scoperta –ipotizzando che ciò sia possibile- di nuovi individui; antropologia, semiotica, pisicologia, sociologia, filosofia devono ancora mantenere la loro coralità. Uomo come fine e come mezzo quindi!?!

Ma più concretamente, quali sono stati e quali potranno essere gli impatti sul marketing? Aumentano i dubbi, le discrepanze, le incongruenze ma di contro, lo stesso fanno anche nuovi aspetti di studio e vertici di analisi. Riprendendo il postmodernismo da dove l’avevamo lasciato e per fare subito un affondo, un punto che personalmente ritengo focale è che il postmodernismo rivela in maniera netta e definitiva che il consumo, inteso come esperienza individuale e sociale al contempo, va studiato secondo più logiche, punti di vista e sicuramente in base a numerosi schemi contemporaneamente e quindi con classificazioni flessibili (Morace) se non addirittura vaghe dei soggetti e degli oggetti..

In generale, anche nel marketing ciò che emerge fortemente è l’Uomo; condivido le tesi di chi è arrivato a parlare di Nuovo Umanesimo (Aburdene, Naisbitt ed altri ancora); la riscoperta di valori (antropologici, sociali e psicologici) fortemente e indissolubilmente legati all’essenza umana come valori fondanti di studio, scelta e giudizio.
Quanto detto non faccia cadere in inganno; uno studio così impostato supera nettamente la dicotomia legata all’apparente contrasto “individuo/socialità”; possiamo dire che lo sviluppo del postmodernismo corrisponde anzi al compimento di un processo di individualizzazione da una parte, ma anche ad un ritorno alla ricostruzione del sociale attraverso la costituzione di “gruppi informali”.
La difficoltà risiede nell’abbracciare nuovi contenuti del concetto di individuo da una parte e socialità dall’altra. Solo per fare un esempio, i nuovi attributi suoneranno come: emozioni, esperienze, pensieri, idee, progetti e, ultimi ma fondamentali, affetti .

Parlando di individuo e di socialità emerge quindi fortemente l’aspetto del contatto fra questi; un nuovo paradigma, caposaldo, valore di cui già si parla da qualche anno è appunto quello della Relazione. Relazioni tra aziende e consumatore finale, tra le aziende stesse, tra aziende e loro collaboratori.
All’interno del concetto di relazione poi vanno fatti rientrare i vari marketing neurale, tribale, etnico, network, virale, word of mouth, sales promotion ecc.ecc..Non c’è dubbio che numerosi sono stati gli studi in tal senso forse, anche qui, troppo puntuali e segmentanti. Un concetto che personalmente mi affascina e che ritengo un metro di misura o un utile strumento di studio è quello di tribù (tra i primi, Maffesoli) che è andato a sovrapporsi a quello degli “stili di vita” (cronologicamente parlando, sicuramente “moderno”) che comunque presupponeva un ragionamento di divisione e distinzione.
Il concetto di tribù nasce invece fortemente dinamico e mutevole e comunque sposta l’ottica di analisi da una logica di distinzione ad un mero atto di identificazione con una o più comunità contemporaneamente, in una determinata frazione di tempo caratterizzata dalla condivisione delle esperienze e da interazione fra i soggetti che vi si “accodano”.
Mentre nei gruppi moderni, gli individui si “ritrovano” ingabbiati in un’ottica di identificazione e studio definitiva, nelle tribù postmoderne gli individui si avvicinano e si allontanano in flussi di volta in volta verso mete (nuclei) differenti.

Le conseguenze già si vedono da qualche anno da parte delle aziende più illuminate e lungimiranti; si tende a trasformare i luoghi della distribuzione in luoghi “relazionali” e di legame (Morace) in cui la tribù possa trovare una propria espressione. Si accresce l’importanza data a canali informali come il “WOM” (Word Of Mouth) come utile strumento di marketing all’interno di flussi mobili.

Quindi: superare il postmodernismo? Se del postmodernismo si vogliono prendere gli aspetti maggiormente positivi e quindi non soltanto quelli nichilistici o autoreferenzianti, penso che non ce ne sia il bisogno. Parlare di neomodernismo e quindi aprire un nuovo filone di studi tagliando i ponti con quello precedente, secondo la mia opinione, è alquanto prematuro ma soprattutto disorientante.
Tutto questo anche e forse, soprattutto in Italia e ciò che, specie nel nostro paese, non deve sfuggire è che il mercato non è costituito da grandi società e multinazionali ma in particolar modo da players medio/piccoli – piccolissimi che a mio parere sono ancora ben lontani da certe riflessioni e “sensibilità”. Ritengo che sia proprio li, oggi, il compito di ogni studioso, consulente e operatore di marketing, affinché gli studi sopra elencati non rimangano uno sterile esercizio accademico o semplicemente materiale di ricerca. Potremmo dare e utilizzare anche decine di nomi diversi per rischiare poi comunque di parlare degli stessi contenuti. Quindi l’invito conclusivo a queste riflessioni è: non eccediamo con sigle, codici, paradigmi, teorie sovrapposte e “ultime novità”….spaventeremmo solo i nostri interlocutori rischiando di sembrare “meri venditori di fumo”; non c’è dubbio: il “marketing che separa” è più facile e ci rende tutti professionisti e specializzati ma è probabilmente quello più pericoloso e meno produttivo. Penso che potrebbe essere molto utile aprire un aperto confronto con tutti voi, cosa ne pensate?

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